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  • Poesia ippica
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  • Ci sono dei momenti nella storia della letteratura in cui, come in qualsiasi altra cosa che ha visto la luce sul nostro vasto mondo, vengono prese decisioni alla cazzo di cane e perciò vedono la luce alcune creazioni veramente tristi e insensate. Un chiaro esempio a sostegno di quest'affermazione è la nascita del romanzo psicologico, degli opuscoli di Forza Italia e delle autobiografie dei calciatori. Curiosamente, trai cavalli non è di moda la poesia umana.
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  • Ci sono dei momenti nella storia della letteratura in cui, come in qualsiasi altra cosa che ha visto la luce sul nostro vasto mondo, vengono prese decisioni alla cazzo di cane e perciò vedono la luce alcune creazioni veramente tristi e insensate. Un chiaro esempio a sostegno di quest'affermazione è la nascita del romanzo psicologico, degli opuscoli di Forza Italia e delle autobiografie dei calciatori. Tuttavia per fortuna alle volte l'ingegno umano è soggetto a intuizioni geniali, destinate ad aver un luminoso avvenire per gli eoni a venire: tra questi colpi d'ingegno viene normalmente collocata anche l'invenzione della poesia ippica. Ma procediamo con ordine. C'è chi dice che il mestiere dello scrittore oggigiorno sia difficoltoso e irto di complicazioni, mentre un tempo il letterato era stimato e ammirato, riceveva incentivi statali (o dal re, o dal capovillaggio, a seconda dei casi), era ricco come un pappone ed era considerato una specie di vate della comunità. Quelli che dicono però queste cose non sanno che stanno ripetendo balle messe in giro dalla lobby degli scrittori per darsi un tono. La verità è che essi sono sempre stati giudicati una feccia di sfaticati, che piuttosto di lavorare addirittura perdono il tempo a scrivere e poi fanno i supponenti sulle cose della vita (giustamente, d'altronde, perché lo sono). Per questo motivo sono sempre stati emarginati e discriminati, più di un ebreo africano gay, malato di peste, sieropositivo e convertitosi ai Testimoni di Geova. Ed essendo emarginati, erano pure poveri e senza cibo, e per guadagnarsi la pagnotta quotidiana dovevano inventarsi gli espedienti più variegati. A questo proposito si racconta che un giorno il poeta greco Ippomandracheo, disperato per essere stato cacciato in una sola ora da tre regge di tre diverse città stato (Atene, Megara e Rovigo) a causa della noia profonda che generava negli astanti con le sue poesie, dovendo per forza mangiare, ebbe un'idea geniale per guadagnare un po' di soldi. Rubare direte voi: e invece no, anche perché il PSI non era ancora nato. Decise, per farla breve, di scommettere sui cavalli, ché gli avevan detto ch'era un modo sicurissimo per fare una fortuna. Quello che però non gli avevano detto è che il succitato metodo era ideale per fare la fortuna altrui, non propria: difatti, puntando sul cavallo Skarsòs (in Greco fulmine saettante), il nostro Ippomandracheo non perse soltanto tutti i soldi che non aveva, ma pure quelli dei suoi amici e dei suoi eventuali figli (nel senso che qualora avessero scoperto che aveva dei figli da qualche parte, sarebbero andati a derubarli di tutti i loro averi. Oltre che a scoparsi la loro madre, ovviamente), nonché la radio transistor e i dischi di Little Tony. Ovviamente, Ippomandracheo non era molto contento; ma essendo molto codardo, pensò di sfogare la sua rabbia non sui suoi strozzini, ma sul cavallo che gli aveva portato così tanta rovina. Ed essendo un poeta, non trovò altro modo d'esprimersi se non tramite la poesia, come fanno quei giovani afroamericani che denunciano il disagio della vita e le difficoltà del ghetto facendo musica rap. E, improvvisando, disse pressappoco così: E nel pronunciare quest'ultime parole, s'interruppe di colpo. Nel bel mezzo d'un giambo invettivo nei confronti di un animale che non aveva nessuna colpa (perché il cretino è chi scommette, non il cavallo che perde) Ippomandracheo ebbe un'illuminazione su quale sarebbe stata la sua fonte di reddito futura: la poesia!E non importava che fosse stata anche la sua fonte di reddito passata e presente, perché ora aveva piena coscienza di cosa poteva fare col dono della parola. Perciò si diresse a casa di un suo amico (perché lui era stato sfrattato) e sedutosi sulla sedia del suo amico, che era dinanzi alla scrivania del suo amico, e presa la penna del suo amico e i fogli del suo amico cominciò a comporre un lungo poema chiamato Il Cavallo di Troia. Quand'esso fu pubblicato, fu un grandissimo successo (vendette tutte e sette le copie) e cominciò a far scuola nel mondo intellettuale dell'epoca. Già un secolo dopo la morte di Ippomandracheo (a causa di una violenta colluttazione con un burrone) si reputavano i suoi epigoni come membri di un genere poetico a sé: la poesia ippica. Poi, ovviamente, come tanti altri generi, anche la poesia ippica c'ha avuto i suoi alti e bassi: difatti si contano poeti ippici sia trai Watussi che trai Lillipuziani. In ogni caso, è confortante sapere che un tale gioiello dell'ingegno umano si conserva tutt'ora in ottime condizioni. Curiosamente, trai cavalli non è di moda la poesia umana.
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