About: Una notte di fuoco a Stornara e Stornarella: 30 marzo 1862   Sponge Permalink

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Un terribile conflitto a fuoco tra il II Squadrone del Reggimento Cavalleggeri Lucca, comandato dal luogotenente Leuci, e 200 briganti a cavallo, guidati dal capobanda Giuseppe Schiavone di S. Agata di Puglia, avviene nel pomeriggio del 30 marzo 1862 nel tenimento di Ascoli, precisamente in località “Orto dei Noci”. Decimati ed in rotta, inseguiti dai briganti, i Cavalleggeri fuggono alla volta di Stornarella per chiedere aiuto alla Guardia Nazionale. Il sindaco, don Domenico Curci, ordina alla guardia di armarsi e combattere al fianco della truppa piemontese, ed invita i cittadini a collaborare per evitare che il paese cada nelle mani dei briganti. La Guardia armata si porta a gruppi sulle parti alte delle case e sul fortino della Torre, zona di controllo e di difesa. Alcuni cittadini ris

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  • Una notte di fuoco a Stornara e Stornarella: 30 marzo 1862
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  • Un terribile conflitto a fuoco tra il II Squadrone del Reggimento Cavalleggeri Lucca, comandato dal luogotenente Leuci, e 200 briganti a cavallo, guidati dal capobanda Giuseppe Schiavone di S. Agata di Puglia, avviene nel pomeriggio del 30 marzo 1862 nel tenimento di Ascoli, precisamente in località “Orto dei Noci”. Decimati ed in rotta, inseguiti dai briganti, i Cavalleggeri fuggono alla volta di Stornarella per chiedere aiuto alla Guardia Nazionale. Il sindaco, don Domenico Curci, ordina alla guardia di armarsi e combattere al fianco della truppa piemontese, ed invita i cittadini a collaborare per evitare che il paese cada nelle mani dei briganti. La Guardia armata si porta a gruppi sulle parti alte delle case e sul fortino della Torre, zona di controllo e di difesa. Alcuni cittadini ris
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  • Un terribile conflitto a fuoco tra il II Squadrone del Reggimento Cavalleggeri Lucca, comandato dal luogotenente Leuci, e 200 briganti a cavallo, guidati dal capobanda Giuseppe Schiavone di S. Agata di Puglia, avviene nel pomeriggio del 30 marzo 1862 nel tenimento di Ascoli, precisamente in località “Orto dei Noci”. Decimati ed in rotta, inseguiti dai briganti, i Cavalleggeri fuggono alla volta di Stornarella per chiedere aiuto alla Guardia Nazionale. Il sindaco, don Domenico Curci, ordina alla guardia di armarsi e combattere al fianco della truppa piemontese, ed invita i cittadini a collaborare per evitare che il paese cada nelle mani dei briganti. La Guardia armata si porta a gruppi sulle parti alte delle case e sul fortino della Torre, zona di controllo e di difesa. Alcuni cittadini rispondono all’invito del sindaco; molti lasciano le case, escono dall’abitato e prendono la via dei campi o quella di Stornara, per andare a chiedere man forte contro i piemontesi a quei cittadini, che sembrano ben informati, ed anche con congruo anticipo, di quanto sta accadendo a Stornarella, e son pronti non solo a dare il proprio aiuto, ma anche ad accogliere a Stornara i briganti, per saccheggiare e “addentare le proprietà”, soprattutto dei liberali. Non pochi, ed in prima posizione figurano molte donne, si adoperano per favorire l’ingresso a Stornarella dei briganti, dando loro esplicito appoggio ed incoraggiamento, sventolando fazzoletti bianchi e gridando “Viva Francesco II!”. E se il sindaco ordina di resistere ed opporre forza alla forza, dai briganti si ordina alla Guardia Nazionale, tramite alcuni cittadini, come un tale Gaetano Cringoli, calzolaio, di anni 48, di inalberare la bandiera bianca. Sono le ore 21, e Stornarella in men che non si dica, è tutta a soqquadro. Lo scontro avviene alle porte del paese, ai sinistri bagliori dell’incendio del “lamione” di Filomena Tummolo, vedova Piccialli, cui i briganti hanno appiccato il fuoco, che minaccia le case contigue. A cavallo ed armati di tutto punto, i briganti vestono quasi tutti alla “militare” e molti hanno la tromba. La banda è organizzata militarmente. Tra lo strepitio ed i nitriti dei cavalli, la detonazione degli spari di doppiette e carabine, il fragore delle armi, il suono delle trombe, le urla assordanti dei combattenti, le voci confuse dei convenuti, si svolge nella Capitanata, a danno delle truppe regolari, uno dei più drammatici e movimentati scontri di quel terribile 1862 che, con il 1861, “fu indubbiamente il più grave del brigantaggio... per la ferocia con la quale le singole bande offesero e si difesero”1. Tre ore di “gagliardo fuoco”, dalle 21 alla mezzanotte. Tre ore di sgomento, terrore, morte o di entusiasmo, secondo il caso, in cui Stornarella, e di riflesso anche Stornara, vive la notte forse più violenta della sua storia. L’aiuto della Guardia Nazionale e dei pochi cittadini volenterosi non è valso ad evitare morte e spargimento di sangue tra i Cavalleggeri. Nessuno però della Guardia, nessuno dei cittadini di Stornarella e Stornara cade, viene ferito o subisce danno alle proprie cose. E se brucia il “lamione”, non è contro la proprietà che si consuma il danno, ma un modo per comunicare un messaggio, forse proprio agli abitanti di Stornara2. Scompare nel cuore della notte, complici le fitte tenebre, sulla strada che mena ad Ascoli, l’esercito dei “legittimisti”, tutti, uomini e cavalli, indenni. Al luogotenente Leuci non rimane che contare e ricomporre i caduti, in tutto diciassette, soccorrere i feriti, recuperare armi, oggetti militari e cavalli, adire, come di rito, le vie burocratiche per informare le autorità competenti e chiedere giustizia. Stornarella, illuminata per tre ore a giorno, prima dagli spazi, poi anche dall’incendio del “lamione”, che dura per tutto il giorno successivo, rimane in uno stato di agitazione. Calma non regna neppure a Stornara, già mobilitata ad accogliere i briganti, dopo aver mandato il suo contingente a combattere a Stornarella. _______________________________________________________________________________________ 1 - CESARI C., Il brigantaggio e l'opera dell'esercito italiano dal 1860 al 1870, Ausonia, Roma, 1920, p. 121. 2 - Idem, p. 122. “Le norme tattiche erano comuni alle bande. i briganti ben appostati assalivano sempre le colonne mobili dei soldati... per mezzo dei loro confidenti erano generalmente ben informati non solo delle mosse delle truppe ma anche dello scopo dei loro spostamenti, e trasmettevano le notizie con fiammate di notte e colonne di fumo di giorno”. L’indomani, 31 marzo, il funzionario supplente della Polizia Giudiziaria, Francesco Cappiello, comunica al Giudice del Mandamento di Orta, G. Talia: “Qui verso le ore venti una quantità di forza piemontese, partiti da Ascoli diretti per qui vennero inseguiti da una mano di briganti fin dietro le mura di questo abitato che furono salvi collaver preso il fabricato. I briganti non contenti di quanto avevano fatto per istrada cercarono dinvadere questo paese, come di fatti entrarono all’estremità col dare fuoco a talune case ma il vivo fuoco sostenuto dai palazzi da questa, popolazione a circa le ore ventiquattro ci lasciarono in pace. La negò conoscenza per mio discarico”. Nella stessa mattina del 31, il sindaco Curci emana un bando per invitare chiunque rinvenga cavalli, armi, oggetti militari a portarli alla Casa Comunale per la debita restituzione. Entro le ore 12,00 Antonio Potenza con un cavallo che, dopo riconoscimento da parte del luogotenente Leuci, viene a costui restituito con verbale di consegna. il giudice Talia, a sua volta, il 1° aprile scrive all’Ufficiale dei Cavalleggeri Lucca: “Interessando alla giustizia punitrice conoscere il contegno di questo paese nel giorno 30 marzo ultimo quando i briganti l’aggredirono, prego lei favorirmi dire i movimenti di tutti e segnatamente quelli che potrebbero darmi tutta la ragione di procedere rigorosamente. Gliene anticipo i miei sentiti ringraziamenti”. Lo stesso giorno gli perviene la comunicazione del sindaco Curci: “Ieri verso le ventuno, la comitiva de’ briganti che infesta questi contorni del numero di circa 200, inseguendo un Trappello di truppa regolare piemontese appartenente allo Squadrone Cavalleggiere Lucca, fin sotto le mura di questo paese, lasciavano via facendo non pochi morti, e dal certo sarebbero rimaste vittimi il restante del medesimo se non avesse avuto l’opportunità di giungere quì, ed essere sussidiati dalla Guardia Nazionale la quale spartita in diverse case elevate, e nel fortino della Torre, parte predominanti il paese tutto, sostennero un fuoco vivo di tre ore senzaché i malviventi avessero potuto penetrare l’interno del paese. Niun danno si deplora a questi miei amministrati, a meno di una pagliera data fuoco in danno della vidua di Francesco Picciallo, Filomena Tummolo. La comitiva, essendo stata resistita con la forza, verso le ore 24 cessava l’azione e sen partiva verso la strada che mena in Ascoli. Tanto li dico per adempimento di mio dovere in riscontro alla sua di pari data numero 275”. Ma Talia, ancor prima di ricevere le risposte, si presenta di persona, lo stesso 1° aprile, a Stornarella per avviare le indagini ed assicurare i rei alla giustizia. Fa arrestare e tradurre in carcere Maria Luigia Capaldi fu Luigi, nativa di Rocchetta S. Antonio, di anni 48, con l’accusa di connivenza con i briganti; Carmina Petrone “la fog- 61 gianella”, fu Saverio, di anni 40; Lucia Pistillo fu Giuseppe, di anni 24; Antonio Potenza, Raffaele Schiattone di Stornarella; Michele Circiello, Matteo Di Benedetto, Rocco Antonaccio di Stornara, per complicità con i briganti. Gli arresti vengono eseguiti dal Maresciallo 1° Pavignano Giuliano, e dai carabinieri Forni Giovanni, Mapelli Giuseppe, Ghio Gaetano, Cattaneo Carlo, Manelli Carlo, della stazione di Orta, dell’Arma a piedi e “vestiti di divise”. E mentre la giustizia ha preso il suo corso, alle tre del pomeriggio, sempre del 1° aprile, i Reali Carabinieri di Orta, nella cappella del camposanto di Stornarella assolvono il pietoso compito della ricognizione delle salme dei caduti. Il verbale recita: “Oggi mille ottocento sessanta due ed al primo del mese di aprile verso le ore trè di sera nella Capella del Camposanto del Comune di Stornarella, mandamento di Orta (foggia) Io sotto scritto Pavignano 1° Giuliano Maresciallo Dalloggio a piedi Comandante la qui contro citata stazione, e nelle qualità di Ufficiale di Polizia Giudiziaria, Dicchiaro che vestito di mia militare divisa e trovandomi nell’ora e luogo suddetto in compagnia del Luogotenente Leuci, Comandante il secondo squadrone del Reggimento Cavalleggieri di Lucca, come pure li sottotenenti del medesimo Reggimento Saini e Vagnossi, aver verificato e conosciuti come asseriscono i suddetti Luogotenente e Tenenti, numero diecisette soldati morti uccisi dai briganti la sera delli 30 p.p. marzo a pocca distanza dal Comune di Stornarella, i quali militari del medesimo Reggimento suddescritto, sono i qui appresso d’escritti, Vercelli, Abbadon, Origi, Rollo, Randini, Donnini, Frignani, Aggazzi, Ricardo, Delusso, Vinanti, Carnesecchi, Bongiovanni, Prandi, Benedetto e Dardelli, tutti semplici soldati, nonché il caporale Salugeri. Di tutto questo ho redatto il presente verbale di constatata verificazione e genuina veritiera, per rimetterlo a questo signor Giudice Mandamentale per la sua annaloga procedura e per quelle provvidenze che lui gli spetta del caso come Autorità competente, fatto e scritto a Stornarella il primo Aprile 1862, e mi sono sottoscritto Pavignano l° Giuliano”. Il 3 aprile il giudice Talia ha già la possibilità, dopo aver raccolto i dati necessari, di comunicare al Procuratore Generale, con nota n. 293: “Un’orda di 200 briganti assaliva a 30 marzo ps. Stornarella, ove fu respinta dal valore di quella G.N. e dal 2° Squadrone dè Cavalleg. Lucca, che colà si era ritirato dopo il conflitto sostenuto all’Orto delle Noci in cui perdè vari militari. Non altro potè che mettere fuoco ad un lamione. Nel giorno l° andante mi recai io sopra luogo, scrissi all’uff. per sapere quale contegno si serbò da tutti e non ostante non avessi avuto riscontro seppi che talune donne e certi uomini avevano spiegato fazzoletti bianchi e gridato Viva Francesco 2. Procedei subito a rigorosa istruzione e conosciuto che 62 Luigia Capaldi chiamava i briganti in paese, Carmina Petrone faceva segno con fazzoletto e dicea aver parlato coi briganti e non doverli temere, Raff. Schiattone ed Ant. Potenza fu Gaetano, chiamati da loro andarono, li feci arrestare. Intanto mi si riferiva che Matteo Di Benedetto, Rocco Antonaccio e Michele Circiello insieme ad altri molti erano usciti da Stornara ed andati a Stornarella in quello stesso tempo a chiamare i briganti; avuti sufficienti indizi subito li feci assicurare in carcere. Mi ritiro adesso da quei villaggi per tenere l’udienza civile domani senza perdere tempo per la procedura por compiere la quale ho bisogno della cooperazione di quei funzionari che sono stati bene invitati da me ma senza alcun pro. Essi si distinsero nelle armi ma per far liquidare gli autori non s’occupano come debbono. Il carcere di qui è angusto. Io non posso spedire detenuti costà. Prego lei facultarmi inviarne parte a Cerignola”. A ritmo serrato si susseguono gli interrogatori e le deposizioni degli arrestati e dei testimoni. Essi trattano, ritrattano, accusano, discolpano, hanno saputo ma non visto, visto ma non sentito, ecc. In breve: Giuseppe Perrelli ha visto Luigia Capaldi chiamare i briganti; Gennaro Altimati ha notato donne ed uomini sventolare fazzoletti bianchi gridando “Viva Francesco II”, ma con precisione non sa aggiungere altro; Davide Golia ha saputo da Nunzia Borriello che Carmina Petrone e Lucia Pistilli erano addirittura andate a mangiare dai briganti, ma di persona lui nulla ha visto; Nunzia Borriello nega quanto sostenuto da Golia; Francesco Cappiello ha visto tre uomini, tra cui Raffaele Schiattone ed Antonio Potenza, chiamati dai briganti, andare verso costoro per invitarli ad entrare in Stornarella; Luigia Capaldi denunzia che Carmina Petrone le ha detto di aver parlato con i briganti e “che Giuseppa Martinazza aveva fatto segni con fazzoletto ed a lei confidato che non si temesse di loro che ella aveva parlato con essi”; la Petrone dichiara di aver sentito le voci “Viva Francesco II” ma provenivano da certi zingari, naturalmente irreperibili; Domenico Cecca di Stornara denunzia che Matteo Di Benedetto, Michele Circiello, Rocco Antonaccio erano andati in Stornarella per invitare i briganti ad andare in Stornara; Michele Liopi ha udito dai tre succitati voler far venire i briganti a Stornara per “saccheggiare i proprietari”; li ha visti andare a Stornarella anche Caterina Intenza; Caterina Intenza dichiara di averlo saputo dalla moglie di Rocco Antonaccio ma di non aver visto; Antonio Di Corato denunzia di aver visto molti di Stornara ca- 63 peggiati da Di Benedetto, Circiello, Antonaccio, andare a Stornarella a chiamare i briganti; Rosa Circiello, sorella di Michele, rimproverata da Rosa Scarangella perchè il fratello è andata a Stornarella a chiamare i briganti, risponde che “se fossero entrati gli sbandati ella potea dire che D.co Cecca portava i mustacchi né gli giovava averseli tolti”; Rocco Antonaccio afferma di essere andato sì a Stornarella, ma per prelevare la moglie di Michele Piccialli con Antonio Di Cicco; i coniugi Piccialli e Antonio Di Cicco confermano; Matteo Di Benedetto dichiara di non essersi mosso da Stornara la sera del 30 marzo; Angela Carrillo, Santa Petrilli, Vito Tripputi, Angela Sentese depongono a suo favore, dichiarando averlo visto la sera del 30 girare ubriaco in Stornara e ritirarsi in casa con la moglie; Michele Circiello, come Di Benedetto, dichiara di non essersi mosso da Stornara né di aver mai avuto intenzione di andare a Stornarella a chiamare i briganti; Florestano Traversi, Romualdo Campanale, Vito Losito, Rocco Natoli, Gerardo Paradisi, Michele Liosi, Filomena Circielli depongono a suo favore, dichiarando averlo visto la sera del 30 marzo in Stornara. Intanto il delegato di Pubblica Sicurezza, Domenico Cecca, comunica al Giudice Talia di aver appreso “da persone fededegne” che i fatti di Stornara non sono da imputare solo ad Antonaccio, Circiello e Di Benedetto, ma anche ad Antonio Di Cicco. Lui però non ha prove a sostegno di tanto. Il giudice lo sollecita a fornirgli indizi, ma senza esito. Si rivolge quindi al sindaco ed al supplente giudiziario di Stornarella per saperne di più. L’uno e l’altro gli confermano di aver visto a Stornarella il 30 marzo alcuni di Stornara, ma di non averne riconosciuto alcuno. Talia convoca Cecca, che gli consiglia di rivolgersi al dottor Mangione, medico cerusico a Stornara, che ne sa di più. Il dottor Mangione, interrogato, dichiara di aver appreso da Carmine e Rocco Capolongo che con Circiello, Di Benedetto ed Antonaccio ad andare a Stornarella v’era un “marinese”, vignarulo del signor Gala. Carmine e Rocco Capolongo, interrogati, negano di aver parlato al Mangione e dichiarano, invece, di aver visto Di Benedetto a Stornara la sera del 30 marzo. Viene riconvocato dal giudice il Mangione, ma costui non si presenta per procedere alla contraddizione. Nella sua deposizione fatta il primo aprile a Stornarella dinanzi al giudice Talia, il sindaco Curci, “fu Serafino di anni 34 proprietario e sindaco di questo Villaggio...” dichiara che “ ... domenica trenta del prossimo scorso marzo verso le ore ventuno giungevano molti cavalleggieri di Lucca, dimandando essere ausiliati dalla Guardia Nazionale perchè avevano sostenuto un conflitto nell’Orto 64 della Noce in tenimento di Ascoli ove erano morti dei militari, coi briganti, e questi al numero di ducento si avvicinavano a questo Comune. Egli subito non solo prese sotto le armi tutta la Guardia Nazionale la quale fu pronta allo invito ma ancora tutti coloro che potevano resistere non solo per impedire la loro entrata nel paese, ma ancora prese tutte le opportune posizioni nelle case; ed infatti i briganti nel numero di circa ducento arrivarono al paese facendo fuoco, ma il paese tutto armato rispose loro con tutta la forza cittadina da impedire il loro ingresso li uniti ai militari sostenendo un fuoco per tre ore mercè il quale i briganti non solo non poterono prendere la piazza ma ancora non continuarono l’incendio... I briganti vestivano taluni alla militare senza bandiera ma con trombe. S’ignora il loro capo, ma se è la comitiva che mise fuoco alla massaria del signor Errico Autilio sul ponte di Noia si dice fosse Schiavone di S. Agata ….Egli come funzionario di polizia e come conoscitore dei suoi amministrati sa con certezza che nessuno di qui era in relazione con i briganti e che il loro ingresso fosse dipenduto da invito o pure da conoscenza di spirito favorevole ai briganti, e nel giorno suddetto sene commise quando vide che tutti risposero al loro dovere contenti di difendersi contro quegli assassini sostenendo la bandiera italiana con tutta la fedeltà. Egli è più che certo che se non fusse stato il rifugio dei militari in questo paese ove ebbero tutta la ospitalità e l’aiuto i briganti non sarebbero venuti. Egli non ha veduto alcuno mostrar segno di soccorso ai briganti, ma solo ebbe ad osservare che il popolo basso non potendo salire sulle case soprane, che son poche, cercava di fuggire e ricoverarsi ove meglio potea nelle campagne non per diminuire la forza alla Guardia Nazionale ma per non poter opporre forza alla forza per mancanza di armi. Essendo stato il paese chiuso fino a questo momento, egli non ha potuto informarsi della intiera popolazione, se qualcuno avesse dato qualche notizia ai briganti. Ma oggi che la forza è venuta, egli emetterà tutti i suoi mezzi per accertarsi di qualche altra notizia ......”. L’11 aprile a Cerignola viene interrogato dal Giudice Regio, Crescenzio Recchia, Francesco Saverio Mangione, medico cerusico, nativo di Monte S. Angelo, domiciliato in Stornara, di anni 37, il quale dichiara: “Nel giorno 30 marzo ultimo, verso le ore 22, essendosi in Stornara diffusa la notizia, che un numero considerevole di briganti minacciava di entrare nel comune di Stornarella a commettere uccisioni e saccheggi, e che di là si sarebbero recati in Stornara per fare altrettanto, egli si recò sulla terrazza della sua casa di abitazione per mettersi alla scoperta, e tentare di organizzare una difesa e resistenza, cui gli fu mestieri di rinunziare quando vide che non poteva contare sul paese, per non aver potuto trovare chi avesse voluto dargli appoggio. Di là sopra vide che uscivano da Stornara circa una quindicina d’individui che prendevano la direzione fuori 65 dell’abitato, e che gli fu detto andavano a Stornarella. Meravigliatosene, credendo che fosse per curiosità, gli fu detto che andavano invece per profittare di quella occasione per unirsi a’ saccheggiatori ed aver parte del bottino e quindi venire co’ briganti a fare lo stesso in Stornara. Andarono di fatti. Ed egli non vedendosi sicuro in Stornara perché l’idea di difendersi non perdominava nel paese che nell’animo di pochissimi, e, la bassa gente (il massimo numero) faceva dubitare che in caso di aggressione sarebbesi unita a’ briganti, stimò prudenza venire in Cerignola piuttosto che cimentarsi con una temeraria difesa di certo risultata infelice. Egli non conobbe chi fossero que’ tali che vide in distanza dalla sua terrazza prendere la direzione di Stornarella. Venuto però in Cerignola seppe da’ signori Rocco e Carmine padre e figlio Capolongo, venuti nel giorno seguente in Cerignola, com’egli da Stornara, che tra que’ tali v’erano i nominati Rocco Antonaccio, Matteo Di Benedetto, Michele Circiello e il vignarulo de’ signori Gala, un marinese del quale ignora il nome ed il cognome. E da costoro seppe che que’ tali si erano trattenuti in Stornarella, almeno non ritornarono a Stornara se non passata la mezzanotte seguente la loro partenza. Ha dichiarato pure d’aver saputo dalla voce pubblica nello scorso anno che questi tali individui eran tra quelli del basso popolo che avrebbero voluto addentare la proprietà, massime de’ liberali, allorché il brigantaggio reazionario romoreggiava ......”. Il 16 aprile l’istruttoria è conclusa. Nel “sunto”, a corredo degli atti processuali, il giudice Talia espone: “Nel giorno 30 marzo 1862 il 2° Squadrone Cavalleggieri Lucca entrava a Stornarella per essere aiutati da quella Guardia Nazionale contro duecento briganti ......”, mentre nella dichiarazione al Procuratore Generale, il 3 aprile, aveva comunicato che i briganti erano arrivati a Stornarella per occuparla, e cavalleggeri e Guardia Nazionale avevano combattuto per difendere il paese. La discordanza risulta utile ad evidenziare che la banda brigantesca ha agito per colpire la truppa piemontese e non col chiaro intento di occupare il paese. Nel vol. I dei crimini del Circondario di Orta - Distretto di Foggia - Provincia di Capitanata, al n. 16 viene inserito l’episodio di cui stiamo trattando, con la seguente specifica: “Banda armata per attaccare e resistere contro la forza pubblica e per devastare i paesi, a carico di Schiavone di S. Agata ed altri duecento briganti; Associazione a detta banda a carico di Maria Luigia Capaldi, Carmina Petrone, Lucia Pistilli, Raffaele Schiattone, Antonio Potenza fu Gaetano di Stornarella; Associazione di malfattori per riunirsi a detta banda a carico di Matteo Di Benedetto, Michele Circiello, Rocco Antonaccio ed altri ignoti di Stornara - avvenuto nel 30 marzo 1862”. 66 La causa viene celebrata il 27 giugno 1862 dalla Corte di Appello di Trani contro: “1° Giuseppe Schiavone di Gennaro di S. Agata 2° Antonio Petruzzo di Gennaro di S. Agata - entrambi assenti 3° Maria Luigia Capaldi del fu Luigi di anni 48 4° Carmina Petrone fu Saverio di anni 40 5° Antonio Potenza fu Gaetano di anni 49 6° Raffaele Schiattone fu Francesco di anni 23 - di Stornarella 7° Lucia Pistillo fu Giuseppe di anni 24 8° Michele Cirillo3 fu Nicola di anni 40 9° Matteo di Benedetto fu Ruggiero di anni 30 10° Rocco Antonacci fu Vito di anni 39 tutti otto detenuti di Stornara, Imputati Schiavone e Petruzzi 1° Di formazione di banda armata contro la sicurezza interna dello Stato, colla qualità essi Schiavone e Petruzzi di Capi; 2° Di ribellione armata in numero maggiore di dieci persone contro la forza pubblica ed uccisione di diciasette Lanceri4 di Lucca, nel giorno 30 marzo 1862 in territorio di Stornarella ... 3° ..................................................................…………………………………… 4° ..........................................………………………………………………… E gli altri otto di complicità nei carichi segnati ai n. 1 e 2”. La Corte è formata dal presidente Viglione e dai consiglieri Passarella e Iannibelli. Espone il rapporto il sostituto del Procuratore Generale Sig. Bonocore, che conclude la requisitoria proponendo “pronunziarsi” l’accusa contro Schiavone e Petruzzi per tutti i carichi, e rinviarsi alla Corte di Assise di Lucera, e rilasciarsi ordine di cattura. Non farsi luogo a procedere per complicità”, contro gli altri otto. Il sostituto cancelliere Pilusi legge gli atti, che vengono esaminati poi a porte chiuse, in assenza di Pilusi e Bonocore. La Corte, quindi, si esprime: “Considerando che il processo scritto offre pruove sufficienti a peso de’ primi due, non solo in quanto all’organizzazione della banda armata da essi capitanata contro la sicurezza interna dello Stato, ma anche per gli altri crimini sopra segnati, osserva in rispetto agli altri imputati di complicità nei carichi 1° e 2° di stare in fatto che quando nel 30 marzo 1862 la suddetta banda minacciava di invadere il paese Stornarella, una ciurma di donne __________ 3 - Leggasi “Circiello”. 4 - Leggasi “Cavalleggeri”. 67 con pochi uomini col grido di Viva Francesco II e sventolando fazzoletti bianchi, esternavano buona accoglienza a quell’orda di misfattori, che talune di quelle donne si mossero ad incontrarla e mangiarono con essa; e che i tre imputati di Stornara andiedero, come dicono taluni testimoni contraddetti però dal discarico. Ma siffatte esternazioni, peraltro non seguite da effetto, non potrebbero giammai sublimarsi ad elementi giuridici costitutivi la complicità prevista dall’art.163 e seguenti LL.PP. anche perché non mossa da precedente intelligenza, ma nello istante di imponente circostanza, perlocché non potrebbonsi le rilevate dimostrazioni ritenersi con certezza per veri sentimenti di simpatia, anzi che finti, e nel fine di evitare la strage ed il saccheggio. Visti gli art.156, 162, 164, 248, 533, n. 4° - 596, 599, 604, 601 Leggi Penali e gli art.427, 424 di Procedura Penale - la sezione di accusa... pronunzia l’accusa contro Schiavone e Petruzzi... rinvia la causa alla Corte di Assise di Lucera, ed ordina di spedirsi mandato di cattura a carico dei medesimi” e “ordina mettersi in libertà qualora non fossero detenuti per altra causa” gli altri otto5. * * * I fatti parlano da sé e sono fin troppo eloquenti. Dalle dichiarazioni dei testimoni e degli imputati, dal gioco delle risposte, ora ambigue ora evasive e più spesso equivoche, dalle comunicazioni ufficiali, da tutta l’istruttoria al processo, dallo stesso processo, non sfuggono al lettore dei documenti un pò smaliziato e poco incline ad assecondare una certa retorica esaltativa dell’azione dei militari e di taluni funzionari, dei dati e delle osservazioni utili a meglio inquadrare fatti e motivazioni. La deposizione del sindaco Curci è tutta finalizzata a difendere se stesso e la sua posizione di amministratore, ad esaltare l’impegno della Guardia Nazionale e della cittadinanza nel soccorrere la truppa piemontese e nel difendere l’onore della bandiera italiana. Scagiona i suoi amministrati: nessuno aveva rapporti con i briganti. Anzi, dà per certo che questi sono arrivati a Stornarella solo per inseguire e colpire i militari. Intanto c’è da rilevare che la denunzia dell’accaduto al giudice la fa non con la dovuta tempestività, come la circostanza richiede, né spontaneamente, ma su richiesta dello stesso giudice, quasi per voler dar tempo ai briganti di far scompa- ______________ 5 - Sezione di Archivio di Stato di Lucera (S.A.L.S.), Corte d’Assise di Lucera, B. 26, f. 173. 68 rire tracce e prove, ed agli accusati di complicità, o comunque coinvolti nell’azione, di riordinare le idee. E quel “popolo basso” che lui indistintamente vede uscire dall’abitato verso la campagna, non potendo salire sulle case alte,... è proprio verso la campagna che va o, invece, verso i briganti a dar loro sostegno ed aiuto? Sarebbe stato, temendo un pericolo, molto più logico e semplice chiudersi nelle case. Molto significativa la deposizione del Mangione che, al contrario del Curci, lascia chiaramente intendere che la popolazione di Stornara non solo sa tutto dei fatti di Stornarella ma, mobilitata, è pronta alla rivolta, a fare occupare la piazza dai “legittimisti” per saccheggiare i beni, soprattutto dei liberali. Sollecito il funzionario della polizia giudiziaria Cappiello, che per primo denunzia i fatti al giudice Talia. Diligente ed attento appare nelle indagini costui, cui non sfuggono certe mancanze ed assenze. Nella relazione del 3 aprile al Procuratore Generale non tace la scarsa collaborazione di “quei funzionari che sono stati bene invitati... senza alcun prò... e per far liquidare gli autori non si occupano come debbono”. Delle “molte donne”, che senza riserva esprimono il loro appoggio al briganti, al processo arrivano solo tre. Per far dare poco credito ed affidabilità al loro intervento e quindi sollevarle dal reato, alcuni testimoni le definiscono “di facili costumi”. Infine, la loro colpa, se colpa fu, quasi diventa merito: si son comportate cosi per guadagnarsi la simpatia dei briganti, abbonirli per ottenere il loro allontanamento da Stornarella, scongiurando saccheggio e strage. E che dire di quel Domenico Cecca, funzionario di Pubblica Sicurezza, cui fa riferimento Rosa Circiello? In questo groviglio di dati vari e spesso discordanti tra loro non sembra incauto concludere che le popolazioni di Stornara e Stornarella fanno causa comune con i “legittimisti”, a cui affidano le loro speranze di restaurazione e di riscatto sociale, e l’eterna illusione e miraggio, proprio dei paesi contadini, di ottenere una giustizia nella spartizione delle proprietà, o meglio nell’assegnazione della terra, cui è legato il loro destino. Quest’azione brigantesca, quindi, ha proprio lo scopo di colpire la forza pubblica e rigettare l’ordine governativo. Non seguono, infatti, vendette e saccheggi. L’episodio assume un carattere politico e si inserisce in quell’intesa programmatica che mira ad allargare il grido di rivolta, ad esaurire le risorse dell’esercito nazionale, e anima non solo la banda di Schiavone, ma molte altre, come quelle di Crocco, Caruso, Ninco Nanco, Tortora. Queste bande tengono per quasi un quinquennio dopo l’Unità d’Italia, dal 1861 al 1865, in gran movimento le popolazioni di Capitanata e Basilicata, or riunite or singolarmente, ma sempre con programmi ben coordinati, e nel complice assenso delle stesse popola- 69 zioni. “La connivenza delle popolazioni, specialmente rurali, esisteva senza dubbio, e quella delle autorità locali era non di gran lunga inferiore”6. In molti casi la stessa polizia, il clero, i galantuomini, i civili, come i contadini, assecondano l’attività brigantesca o comunque non la osteggiano. “Tra siffatto brigantaggio e le corporazioni borboniche, clericali, straniere - diverse, molteplici, insidiose - è relazione diretta. Esse giungono ed è giuridicamente provato sino alle bande devastatrici e micidiali di Crocco, Ninco Nanco, Schiavone ...”7. La Capitanata in questo periodo è “non infestata, ma dominata dai briganti”. Si pensi che alla data del 15 aprile 1862 si contano 365 briganti8; al 16 novembre dello stesso anno 509, cui fa da supporto una nutrita schiera di manutengoli, funzionari corrotti, filoborbonici9. “La provincia dell’ex Regno di Napoli più infestata dal brigantaggio è la Capitanata”, ribadisce ancora l’on. Miceli nel suo discorso tenuto nella tornata parlamentare del 31 luglio 1863. E tra le zone più calde e ritenute più pericolose dal Governo sono Stornarella, Deliceto (bosco Tremolito), Lucera, Vallo di Bovino, boschi di S. Agata, Troia, Volturara10. Qui, tra il ‘60 ed il ‘62 in particolare, la reazione dilaga a macchia d’olio, mentre gli interventi governativi ____________ 6 - CESARI C., op. cit., p. 43. cfr. PEDIO T., Brigantaggio e questione meridionale, a cura di M. Spagnoletti, Levante, Bari, 1982, p. 138 e sgg. Le popolazioni dei nostri paesi erano avvezze alla vista del brigante che non ritenevano estraneo alle loro vicende. Attesta l’Agnelli: “Si correva a quelle bande con entusiasmo... Francesco II era amato sino alla follia dalle plebi principalmente... Il clero si univa al popolo... Il Piemonte era temuto come regno straniero” (AGNELLI L., Memorie, manoscritto, 119, c. 24 v. - Biblioteca Provinciale di Foggia). “Vidi scorrere per le campagne le bande dei briganti, e dal castello si scernevano i combattimenti tra bersaglieri, fanteria, e briganti a cavallo, specialmente le compagnie di Petrozzi e Schiavone... i quali prendono nuove forze e si impegnano organizzarsi alla militare” (idem, c. 27 r.). Lorenzo Agnelli, nativo di S. Agata di P., sacerdote e scrittore, fu coetaneo di Giuseppe Schiavone. Fu un attento studioso della realtà locale. Giustificò il movimento dei legittimisti e condannò le provocazioni dei liberali. 7 - Lettera aperta di Aurelio Saffi al giornale “Unità d’Italia” del 26/6/1863. 8 - Brigantaggio nelle Province Napoletane, relazione della Commissione d’inchiesta parlamentare letta dal deputato Massari alla Camera il 3 e 4 maggio 1863, Fratelli Ferraro, Milano 1863, p. 20. 9 - Archivio di Stato di Bari, Fondo Intendenza, Serie Polizia e Giustizia, B. 6, f. 166, Quadro dimostrativo provenienza briganti (mancano i dati di Mattinata e Monteleone). L’elenco annesso è ricavato dalle “Note somministrate dai signori sottoprefetti, sindaci, comandanti delle Guardie Nazionali, delegati di P.S., e reverendi parroci, in esecuzione del disposto della circolare di questo ufficio in data del 25.7.1862 n. 140". Per la Capitanata i dati vengono forniti da Foggia il 16 novembre 1862 dal delegato centrale A. Tassetti. 10 - CESARI C., op. cit., p. 118. 70 risultano sempre più ripari che risoluzioni, perché miranti soprattutto alla repressione. “Una guerra fratricida si compie dall’una e all’altra parte, provocandosi con schermi, urli selvaggi e schioppiettate; per le guerriglie i soldati son Piemontesi e per i soldati essi son briganti, cui unisconsi facilmente i disertori regnicoli. Tanto è l’odio che anche oggi i reazionari sentono per il Piemonte... I soldati fucilano ed incendiano i briganti, i creduti manutengoli e le masserie che li ricettano, i briganti alla loro volta fucilano i soldati, le spie, i liberali di cui bruciano le messi e le masserie. E’ una guerra di vicendevole sterminio. Vi son centomila soldati a combatterla: ogni paesetto ha una guarnigione: si carcera e si fucila per sospetto: ogni ufficiale è divenuto un proconsole. Insicura e minacciata l’armentizia, depredata da questi e da quelli, alcuni boschi lungo l’Ofanto incendiati, l’ire paesane che ribollono, le contribuzioni che si accrescono, le campagne percorse da briganti e da soldati ugualmente infesti, il commercio morto, le vie vicinali insicure: madri che piangono sui figli che si trovano dall’una e dall’altra parte, prigioni ricolme di malfattori e di innocenti... Peggiore sventura anche in tempi più rei le nostre provincie non videro, perché non videro fratelli che uccidono fratelli”. La testimonianza è dello storico santagatese L. Agnelli11. E si scrive sull’Osservatore Napolitano12: “Il brigantaggio è risorto gigante, e il sangue si versa a torrenti in tutti gli scontri tra i briganti e la truppa”. Una curva ascendente quella degli attacchi briganteschi ai militari, che tocca il culmine nel ‘62 e tende a calare nel ‘63, quando il Governo più sicuro adotta interventi efficaci ed in modo più organizzato. Immane lo sforzo dello Stato per fronteggiare una situazione cosi grave. Certo, i “legittimisti” devono e non possono non perdere in una così atroce e spietata guerra, che è anche guerra civile, e di fronte ad un apparato repressivo tanto imponente da rendere pensosi anche molti politici13. Ed a B. Ricasoli, che sostiene, per giustificare certi interventi governativi: “Essi (i meridionali) rifiutano l’Italia, non noi”, M. D’Azeglio ribatte: “Più se ne fucilerà, più cre- _______________ 11 - AGNELLI L., Memorie, c. 27 v. 12 - L’Osservatore Napolitano, giornale politico letterario, Napoli, 2 luglio 1862. 13 - SMITH D. M., Storia dell'Italia dal 1861 al 1958, Bari, 1960. “Quando i piemontesi entrarono in territorio napoletano nell’ottobre 1860, una delle prime azioni del generale Cialdini fu far fucilare sul posto ogni contadino che fosse trovato in possesso di armi, era una guerra spietata contro gente che non aveva alcun altro mezzo di difesa... Ben presto 120 mila soldati, quasi la metà dell’Intero esercito, furono concentrati in Sicilia e nel Mezzogiorno continentale” pp. 122-123. 71 scerà il numero delle prove contro di noi”. E scrive contemporaneamente al senatore C. Matteucci: “Perché a chi volesse chiamar tedeschi in Italia, credo che gli italiani che non li vogliono hanno il diritto di fare la guerra. Ma a italiani che, rimanendo italiani, non volessero unirsi a noi, non abbiamo il diritto di dare archibusate. Dunque, o cambiar principio, o cambiar atti”. Ma non cambia il principio, e si incrudeliscono gli atti. Giuseppe Schiavone e Antonio Petrozzi, i due capibanda condannati dalla Corte d’Appello di Trani, sono entrambi di S. Agata, località che al brigantaggio tra il ‘61 ed il ‘65 diede un considerevole contingente. Essi divennero briganti nel 1861, quando, richiamati al servizio militare, si rifiutarono di indossare la divisa “piemontese” e si diedero alla macchia. Autori di molte azioni brigantesche, riuscirono a costituire comitive numerose e militarmente organizzate. Dei due, Giuseppe Schiavone è passato agli onori della cronaca e della storia per essere stato tra i briganti il “più umano e prode”14 . Assunse il titolo di capitano e diede un’impronta spiccatamente legittimista a tutte le sue imprese. La sua sagacia, sveltezza e pratica militare gli fecero meritare l’appellativo di “sparviero”. “Astuto” lo definisce Cesari15; “fra i meno sitibondi di sangue”, Massari 16. Di lui scrive Del Zio: “Fece parte delle bande di Caruso nel beneventano e del Crocco, battendosi sempre con gran coraggio tanto che aveva le cicatrici di diciannove ferite. Ed il Bourelly dice che niun capo __________________________ 14 - Giuseppe Schiavone, figlio di Gennaro e Carmina Longo, nacque a S. Agata di Puglia (FG), il 19 dicembre 1838 e battezzato nello stesso giorno. (Arch. Paroc. Chiesa Matrice S. Nicola, S. Agata di Puglia, Registro Battezzati, anno 1838). Dice di lui Lorenzo Agnelli: “Giuseppe Schiavone, che divenne capobanda famoso, fu il più umano e prode fra tutti... Soldato nel 1857 era in un reggimento di linea tra quelli disciolti dal Garibaldi. Rimpatriato ritornò tranquillo al suo mestiere, poco usando al paese per non sentire i pochi liberali che, come in tutti gli altri paesi, stupidamente e scelleratamente facevano insulto a quei soldati che non avevano voluto disertare dalle loro bandiere... Richiamati gli sbandati Schiavone si teneva in guardia e, come seppe che in Santagata erano venuti i soldati per chiapparli, passò alcune notti tra i cespugli del Calagio. Una mattina passò di li una mano di sbandati a cavallo, e credutolo spia il minacciarono; rivelatosi chi fosse il portarono seco... Egli come gli altri sperava nella restaurazione dinastica... Schiavone si comportò bene; la fatalità o l’odio di non servire i vincitori, o lo sdegno di non sentire gli scherni dei liberali, o qualunque altra cagione, lo spinse e non più si ritrasse. In breve mostrò sagacia e valore e istruzione militare: divenne capo, come Petrozzi il fiero Caruso e Crocco...” (Memorie cit., e. 25 v.). E sul quadro socio politico santagatese al tempo dell’unificazione nazionale, cfr. La nostra mala unità, di D. DONOFRIO DEL VECCHIO, in “Educazione e Territorio”, mensile di problemi educativi e politica scolastica, S. Ferdinando di Puglia, anno VI, n. 14, gennaio-aprile 1988, pp. 17-19. 15 - CESARI C., op. cit., p. 147. 16 - MASSARI G., Relazione cit., p. 110. 72 brigante ebbe malauguratamente tanti successi sulla truppa quanti ne ebbe lo Schiavone il quale tenne la campagna per più anni in quattro provincie. Egli prese parte al terribile massacro di Orsara, ove uccise venti Guardie Nazionali. Uccise presso Francavilla il sottotenente Lauri con sedici soldati del 39° Fanteria; presso Botticella dieci soldati del 20° Fanteria comandati dal tenente Caudano; alla masseria S. Giuseppe nel comune di Paduli un capitano ed un tenente di Guardie Nazionali con due militi ed il brigadiere dei Reali Carabinieri; uccise in altro scontro dieci soldati del 22° Fanteria…”17. Associato a Crocco, Gioseffi, Caruso e Tortora, il 26 luglio 1863 attaccò un drappello di cavalleggeri di Saluzzo, comandato dal luogotenente Borromeo, in contrada Rendina di Melfi. Rimasero sul terreno ventuno cavalleggeri18. A questi attacchi alle truppe regolari sono da aggiungersi: - 9 ottobre 1861, ribellione ed attacco con violenza e vie di fatto contro i Lancieri di Milano in tenimento di Ascoli; - 10 dicembre 1861, attacco a resistenza contro la forza pubblica che agiva per l’esecuzione delle leggi in Ascoli; - 13 febbraio 1862, attacco contro la Guardia Nazionale in località Corleto di Ascoli; - 11 marzo 1863, attacco contro i bersaglieri con omicidio in persona del tenente, in territorio di Lucera; - 20 febbraio 1863, a Pietrelcina, scontro ed uccisione di alcuni militi della Guardia Nazionale di Benevento19. L’elenco non è completo. Contro di lui e la banda Piciocchi furono mandati, nel 1863, i battaglioni 13° e 14° dei bersaglieri (il 13° subì uno scontro gravissimo a Tufino, il 19 settembre 1863); contro la sua banda e quella di Caruso alcune compagnie di fanteria, come la 36a 20. Schiavone era velocissimo negli spostamenti, inafferrabile. Si muoveva con sicu- ______________ 17 - DEL ZIO B., Melfi e le agitazioni nel melfese. Il brigantaggio, Melfi, 1905, p. 406. 18 - DEL ZIO B., Il brigante Crocco e la sua autobiografta, Melfi, 1903, p. 51. 19 - Il prefetto di Benevento, Sigismondi, nella relazione del 25 febbraio 1863 lo dichiara “pericolo pubblico” ed autorizza il pagamento del riscatto di 50.000 lire per evitare il saccheggio della città. (cfr. BARBATO M., Un brigante santagatese, in “Itinerari santagatesi”, a cura del Centro Studi e relazioni culturali di S. Agata di P., Matera, 1981, pp. 15-21. 20 - CESARI C., op. Cit., pp. 139-140. A S. Agata, nel palazzo del marchese, alloggiò per molto tempo una squadra di bersaglieri per la lotta al brigantaggio, dal 186l. Nel 1864 le truppe regolari, sempre per la stessa ragione, erano accasermate nel convento di S. Carlo, abbandonato dai francescani dopo la soppressione. (Arch. di St. di Foggia, Aff. Eccl. (o.p.a.), F. 28, f. 397. 73 rezza, potendo contare sulla complicità e l’appoggio di molti. “Corre dal Vallo di Bovino al circondario di Ariano e nel Beneventano”21, zone a lui particolarmente familiari, così come i boschi di S. Agata, Melfi e Rocchetta S. Antonio, di cui conosceva tutti i rifugi e gli anfratti. Con lui fraternizzavano e facevano causa comune molti tra galantuomini, civili, ecclesiastici, proprietari e contadini, di S. Agata e dei comuni viciniori. Ad ingrossare le fila della sua comitiva, mai inferiore ai quaranta individui, correvano anche le donne, che vestivano esse pure alla “militare”, con abiti maschili, sapendo usare con destrezza le armi e cavalcando come gli uomini agilissimi cavalli. Le masse contadine, “senza stato e senza esercito”, come nota C. Levi, videro in lui il difensore della loro causa. Era istruito, cattolico e molto generoso. Sulla sua generosità si raccontavano (e qualcuno a S. Agata ancora li rievoca) molti episodi che lo rendevano ben accetto anche ai nemici. Attesta a tal proposito l’Agnelli: “Giuseppe Schiavone ha mostrato generosità. Catturò nel vallo di Bovino tre ufficiali che andavano in Candela: uno, dicesi, era stato nel suo Reggimento. I compagni li volevano barbaramente fucilare. Chi avrebbe potuto contenere quegli animi inferociti? Egli li tenne a bada, li addolcì sino a che salvi li condusse alle vicinanze di Candela i tre ufficiali, uno dei quali, il napolitano, gli lasciò in ricordo di gratitudine un anello. Non ha guari la sua banda prese un soldato che era stato in famiglia e veniva a raggiungere la sua compagnia in Santagata: lo Schiavone sel mise in groppa e il salvò. Molti altri fatti simiglianti, veri o esagerati, si raccontano di lui, onde non è meraviglia che il suo nome corre accettevole anche tra gli odianti”22. Si tramanda anche che aiutava i coloni poveri e proteggeva dalle bande di Tortora, Crocco, Sacchitiello, ecc., (cui estendeva i favori delle protezioni degli amici e delle famiglie ricche di cui lui godeva ampiamente), i suoi compaesani. Molti, si dice ancora, si arricchirono speculando sulla sua attività di brigante. Per ogni processo a suo carico, la Giunta Municipale di S. Agata, chiamata a certificare sulla sua condotta, dichiarava: “ ... L’indole del ridetto Schiavone, pel tempo che qui ha dimorato non sembrava procline a commettere reati, godendo piuttosto buona (talvolta “plausibile”) condotta morale e politica ......”. ____________ 21 - MASSARI G., Relazione cit., p. 113, 22 - AGNELLI L., Memorie, c. 27 v. 74 Schiavone abbracciò la causa borbonica, la ritenne giusta e la difese con coerenza e coraggio, come testimonia anche l’Agnelli, fino alla morte. Ciò lo portò ad offendere ed attaccare i rappresentanti dei poteri del nuovo Stato, con gli inevitabili scontri, eccidi, violenze ed ogni altro reato legato al suo stato di brigante e reazionario23. Delle sue azioni, che colpirono i sentimenti, a S. Agata se ne parla ancora con una certa passione, perché tutte le famiglie o quasi ne furono coinvolte, per essere state o con lui o contro di lui. La sua vicenda umana e politica, che va dal romantico al robinoodiano, dal leggendario all’epico, per molti aspetti è ancora da definirsi. E se nelle memorie dei santagatesi la sua figura rimane viva e familiare, sgombra ormai dai legittimi timori che incuteva un capobrigante, i moventi della sua scelta, e non solo sua, possono dire ancora qualcosa alla critica storica. Perché di quella disperata, angosciosa, spietata guerra del brigantaggio meridionale post-unitario, tante verità devono ancora emergere e dare, forse, implicitamente, ulteriori chiarificazioni non solo al destino del Sud, ma anche a situazioni attuali che al processo dell’unificazione nazionale si collegano. Dora Donofrio Del Vecchio 23 - In uno degli ultimi mandati di cattura spiccati a suo carico dal Tribunale di Lucera gli si attribuiscono 80 reati (7 Settembre 1864. S.A.L.S., Corte di Assise di Lucera. B. 31, f. 263). 24 - Giuseppe Schiavone fu catturato nella notte tra il 25 e 26 novembre 1864, tra Bisaccia ed Accadia, pare nella masseria dei Vassallo, suoi protettori, da un drappello di bersaglieri guidato dal cap. Molinati, ed un distaccamento cavalleggeri Lucca guidato dal ten. Ardito. Tradotto in catene a Melfi, fu giudicato da un consiglio di guerra e fucilato la mattina del 28 novembre. Prima dell’esecuzione della sentenza, chiese di rivedere la sua donna, Filomena Pennacchio, ospite di un’ostetrica di Melfi perché prossima al parto. Gli fu concesso. “Schiavone e la Pennacchio si videro, si baciarono, e la separazione fu commovente. Schiavone si inginocchiò, le baciò i capelli, le mani, i piedi, e chiedendole perdono la stringe tra le sue robuste braccia e le scocca l’ultimo bacio d’amore” (DEL ZIO B., Il brigante Crocco, cit., p. 75). La presa di Schiavone e la sua fucilazione “diede veramente il tracollo a tutte le bande” (DEL ZIO B., Melfi, cit., p. 460). 75
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